Questo mese parliamo di coppie, di vita insieme, di convivenze volute e convivenze forzate. 
Siamo da poco entrati nella Fase 2, dopo due lunghi mesi di quarantena casalinga a causa della pandemia da Covid-19. 
Siamo esausti, ma anche speranzosi di ricominciare a dare un esterno fisico alle nostre vite fino ad oggi confinate nelle mura domestiche. 
In questi mesi il lavoro dello psicologo si è spostato dallo studio privato ai colloqui online. 
Come un ospiti in punta di piedi, i pazienti ci hanno aperto le porte di casa loro. Sfondi di cucine, salotti, camere da letto e, a volte, anche macchine colorivano l’atmosfera dei nostri incontri. 
Nei primi giorni di quarantena la pandemia saturava tutti gli scambi. 
Vorticosamente è diventato importante capire cosa si stava vivendo, in che modo avrebbe condizionato le nostre vite. Per ognuno si è avviato un processo di consapevolezza. I vissuti e le ripercussioni sulla vita di ognuno sono stati diversi, ma è stato necessario poterne parlare per recuperare un senso, ridurre l’estraneità e contestualizzare quelle emozioni di paura, smarrimento e confusione che caratterizzano i primi giorni del lockdown. 
Poi piano piano ho visto spostarsi le questioni che mi venivano portate nel lavoro terapeutico, dal capire cosa stavamo vivendo, quali sarebbero stati gli effetti della pandemia a livello globale, al focalizzarsi sulle singole vite. 
Veniva messa a fuoco una nuova prospettiva, tramutando lo sguardo dal grande al piccolo, fino ad arrivare alla propria l’intimità, a quello  che accadeva dentro casa, agli effetti della convivenza  forzata sotto lo stesso tetto, *forzata intesa sia come vissuto che come fatto. 
Convivenze da ripensare, rapporti da ricucire, legami da coltivare, affetti da curare. Improvvisamente tutti insieme: donne, uomini, figlie, figli, madri, padri, mogli, mariti, nonne, nonni, coinquiline, coinquilini, lavoratrici, lavoratori, studentesse, studenti, disoccupate, disoccupati, cassaintegrate e cassintegrati. 
Alcune convivenze sono state messe a rischio dall’obbligatorietà di dover stare insieme, di perdere i propri fuori, quel fuori che nella normalità ci permette di poter organizzare e dare espressione alle diverse parti di noi. 
Nella vita di tutti i giorni come arlecchini ci coloriamo dei diversi ruoli che impersoniamo, che ci danno vivacità e complessità sia dentro alla famiglia che nello spazio pubblico. Ora però per alcuni tutto si riduce o si comprime entro un unico contesto, costretti, stretti e senza alternative.
È in questa realtà che ho cominciato a pensare agli effetti di questa nuova crisi della convivenze. 
Ma quali sono gli aspetti del convivere che la  crisi ha messo in luce? Cosa tiene insieme le persone, cosa costruisce relazioni, cosa significa condividere, cosa si intende per prodotto di un rapporto?
Questo mese parliamo di coppie, intese come relazioni amorose, ma quello che si dirà ha a che fare con le relazioni in generale, relazioni entro le quali si fa la fantasia che l’altro sia come lo vogliamo noi, come  ci serve. 
Spesso accade che l’altro sia dato per scontato, pensiamo di conoscerlo, capirlo, amarlo, ma ci illudiamo. Costruiamo un ideale, un’immagine, una fantasia, ignoranti della realtà.
“Tu sei mio ed io sono tua” sembra bastare a tenere insieme una relazione. La fantasia del  possedere l’altro organizza molte relazioni amorose. 
Stare in rapporto è cosa difficile. 
Difficile è trovare l’elemento terzo che tiene insieme una relazione, che ne produce il prodotto.
Coppia non vuol dire uno più uno, c’è sempre un legante che tiene insieme, quel legante è strumento e prodotto. 
L’eccezionalità di questa crisi è che è stata anche opportunità. 
L’interruzione della routine come momento di sospensione dal fare, dal fare le parti, ha fornito un’occasione importante per guardarci in faccia, non darsi per scontati, scegliere e riconoscere chi condivideva con noi il nostro stesso letto, o il  tavolo della cucina, o il divano davanti la tv la sera.
Penso alla gelosia, come una delle questioni ho incontrato a proposito di crisi di coppia. 
La gelosia è un modo di funzionare della coppia che fa fuori il prodotto del rapporto. Piuttosto lo acceca, lo riduce a controllo, paura dell’inganno, e allo stesso tempo lo offusca fino a farlo scomparire.
“Questa gelosia sta rovinando la nostra relazione, sono diventata insopportabile, non riesco più a fidarmi, trasformo ogni momento in una caccia alle streghe. Più ci tengo, più sono gelosa”.
Nel senso comune la gelosia è un sentimento che nasce quando ad una persona ci tieni davvero, è il timore che un altro ti sottragga l’amore del tuo caro, è la paura di perdere da un momento all’altro la cosa più importante che sia ha. 
In alcuni casi viene confusa con un sentimento nobile, che dichiara interesse.
Dalle esperienze di chi arriva in terapia faticherei a definirlo nobile, anzi direi logorante, distruttivo, in alcuni casi violento, pensiamo ai fenomeni di violenza domestica, di stalking e ai tanti omicidi in nome della gelosia che si sentono dalla cronaca.
La gelosia distrugge il rapporto. 
In psicoanalisi si connota la gelosia entro l’emozione del possesso. Quando parlo di emozione penso al modo con cui organizzo la relazione con un altro.
Dire all’altro “tu sei mio” non equivale a dirgli ti amo, voglio accompagnarmi a te e camminare insieme. “Tu sei mio” è la stessa cosa di “non avrai altro Dio al di fuori di me”. E’ l’obbligo al rapporto, è il vincolarsi all’altro senza possibilità di fuga e quindi di scelta.
In psicoanalisi possedere vuol dire distruggere. Mi spiego meglio. Possedere vuol dire fare la fantasia di obbligare l’altro alla relazione, trasformare la relazione amorosa in un vincolo. 
In questo assetto ci si dimentica chi siamo, chi si ha accanto, come me ne occupo, cosa organizza quella relazione. La relazione se fondata sul possesso si organizza solo esclusivamente nel mettere costantemente a verifica l’impegno di fedeltà dell’altro e che l’altro non si sottragga o non venga dissuaso dal farlo. 
Confondere amore con possesso ci fa incamminare in un terreno insidioso. La paura che il nostro oggetto d’amore ci venga sottratto, chiedendo verifiche sempre più insistenti, ci fa dimenticare cosa me ne faccio di quella relazione, chi sono io e chi è l’altro, e perchè stiamo insieme.
Ritorno alle convivenze e al lockdown come opportunità di occuparci di una non scontatezza dell’altro.
Coppia non significa due, significa due persone insieme, significa la perdita di un individualismo narcisista, significa smettere di guardare solo a sé e ai propri bisogni e vedere l’altro e accordarvici.
Accordo e accordare 
Accordarsi
Essere nelle stesse corde 
L’isolamento ha messo le coppie di fronte ad un occuparsi senza un fuori anestetizzante, un fuori che solitamente impegna, ammortizza, dissuade e allontana dalle difficoltà e dai le problemi che si vivono in coppia e in famiglia. Prima della chiusura nelle case, in molti vivevano l’illusione di non dover adempiere a quella scelta, di non doverla pensare, che bastasse il fare come se tutto funzionasse e andare avanti.
Il lockdown ci ha messo le spalle al muro, ha svelato il re nudo. In quanti usavano il fuori per scappare, per tornare ad essere individui?
Per alcuni questa è stata occasione di pensare al proprio modo di stare in rapporto con l’altro, di sospendere l’azione di uscire fuori per scappare e occuparsi della propria  scelta, di riscoprire un desiderio, destrutturare quella fantasia che se facciamo la quarantena insieme allora stiamo insieme veramente. 
Si sono mossi passi importanti per tornare ad occuparsi della propria coppia e del suo convivere e del desiderio dell’altro. Alcune coppie hanno dato valore all’opportunità di stare insieme concentrandosi sul capire a che punto fosse la coppia e ridichiarandosi interesse a condividere la vita insieme.
Altre hanno aspettato la fine del lockdown per tornare a funzionare con quel fuori/via di fuga e collante che le aveva sempre tenute insieme e organizzate.
Altre ancora stanno separandosi.
Le coppie così come le stiamo appena tratteggiando ci danno la possibilità di raccontare da un ulteriore vertice la quarantena.
Forse un capitolo a parte, doloroso, terribile, lo meriterebbero quelle coppie che hanno vissuto, mai come prima, la propria casa come dimora di violenze e maltrattamenti. Lo stare a casa ha accresciuto, infatti, le richieste di vittime di maltrattamento domestico che in questo periodo sono aumentate del 74,5%  rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (rilevazione fatta dai centri antiviolenza D.i.Re). Questo dato era importante ricordarlo e non lasciarlo disperdere. Torneremo a parlare di violenza in uno dei prossimi numeri di ComeQuando.

Francesca Roberti

Psicologa Clinica e Psicoterapeuta
ad orientamento Psicoanalitico

Posted by:ComeQuando appunti di psicoanalisi

ComeQuando è un progetto editoriale nato dall'incontro di tre colleghe psicoterapeute che desiderano portare la psicoanalisi fuori dallo studio, demitizzarla e avvicinarla ai contesti di vita. Renderla utile e non solo bella. #ComeQuando

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