
Il confinamento domestico ci ha messo di fronte ad un’ovvietà: “Stiamo insieme”. Ce lo diceva in una riunione la nostra Carolina Host pensando ai vissuti di alcune coppie durante la quarantena.
La straordinarietà di quello che stiamo vivendo e le misure di controllo della diffusione del covid-19 ci confrontano anche con altre domande circa la natura delle relazioni: ma stiamo insieme? Siamo sufficientemente congiunti e stabili da trattare il nostro desiderio di rapporto come necessità?Decidiamo questo mese di occuparci di queste ovvietà e di queste domande così spesso presenti nelle nostre stanze virtuali di psicoterapia.
Proseguo questa riflessione associando al lavoro che in analisi si fa con le coppie. Una delle prime cose che è importante pensare è il senso del presentarsi lì insieme e come coppia, senza darlo per scontato.
Coppia nel dizionario è “due persone, due animali, due cose della medesima specie, unite o considerate insieme”.
Coppia è due. Né più né meno. E quando in una relazione ci si pensa in due, ciò che si fa è parlare dell’altro. C’è un soggetto e un oggetto. Ne parleremo sia bene che male, questo non è dirimente e non aggiunge nulla alla qualità della coppia. La psicoanalisi ci ha insegnato come per il modo di essere inconscio della mente, il bene e il male possano essere, ad un certo livello, indistinguibili. Due è il soggetto dell’attrazione reciproca idealizzato e idealizzante, quel processo secondo il quale l’altro ha – in sé – caratteristiche tanto desiderate da spingere ad una conquista. Così iniziano i rapporti e tutti sappiamo quanto possano essere sconvolgenti e coinvolgenti. Ma una volta conquistato l’altro, che succede? Quando l’altro è nostro e noi siamo dell’altro, che scenario si apre? La sfida delle relazioni oggi è il durare, l’accedere ad una stabilità della relazione affettiva che la dinamica della conquista non assicura. Due, dunque, è il paradigma entro cui conquistiamo e siamo conquistati.
La conquista è anche il luogo in cui mettiamo in gioco le nostre componenti forti, o vissute come tali, le nostre bandiere ed i nostri territori: status sociale ed economico / popolarità / appartenenze professionali – familiari – culturali – geografiche o religiose. Ognuno di questi sono buoni motivi per desiderare o essere desiderati dall’altro.
Entro questo paradigma, pensare la relazione vuol dire domandarsi perché lui o lei, con quella storia, quelle caratteristiche, quei vissuti, sia lì con te. La letteratura sull’abbinamento delle persone in funzione della ripetizione o soluzione dei traumi infantili è vastissima e per certi versi anche interessante ma restiamo sempre inchiodati al paradigma del due, io e te – te e io.
Tornando alla quarantena.
Cosa è avvenuto in queste lunghe settimane di isolamento sociale? Abbiamo sospeso, in linea di massima, le nostre appartenenze. Le abbiamo messe tra parentesi lasciando fuori alcune componenti identitarie più intime, riflessive, fragili. L’isolamento ha sollecitato le nostre solitudini e nelle nostre solitudini abbiamo convissuto quotidianamente con l’altro.
Credo che questa esperienza abbia consentito ad alcuni di accorgersi di stare insieme o di non stare insieme. Nel senso comune qualunque dimensione terza alla relazione di attrazione e conquista è una minaccia per la coppia. Il terzo è per antonomasia l’altro che intrude nel rapporto. A questo riguardo credo che questi giorni abbiano permesso di realizzare come, ciò che permette la durata è la condivisione di quelle solitudini, in altri termini conoscersi e rinnovare quotidianamente il desiderio di farlo. Conoscersi vuol dire stabilire l’impegno e il reciproco desiderio di condividere quelle intime fragilità, le proprie e dell’altro come cosa terza. Conoscersi e conoscere qualcosa ( di noi e del mondo ) diviene quel territorio di incontro che non è mio e non è tuo, non ci appartiene e non lo possediamo ma lo frequentiamo insieme, è appunto, terzo da noi.

Donatella Girardi
Psicologa Clinica e Psicoterapeuta
ad orientamento Psicoanalitico