Assistiamo oggi al proliferare di nuovi codici sociali all’interno del mondo web e dei social, che influenzano le nostre relazioni e il nostro comportamento sia nel mondo del web che quello al di fuori.
Siamo costantemente immersi nella cultura dei like, della reputazione online, della fake identity, dei follower, degli hashtag e dei selfie.
A gran velocità ci siamo ritrovati a muoverci nella nostra quotidianità seguendo nuovi organizzatori della relazione sociale. Sembrerebbe fantascientifico, come lo fu nel 1977 il primo capitolo della saga cinematografica Guerre Stellari, ma le regole che governano il cyberspazio hanno invaso il nostro mondo, non più per la lotta tra il bene e il male, ma tra il vero e il falso.
C’è chi li ama, c’è chi li odia, ma ai social nessuno resta indifferente.
Come psicoterapueta credo necessario studiare questo fenomeno che sempre di più entra a far parte del modo in cui le persone parlano di lor stesse o di come influenza la loro vita.
Nel 1959 Goffman pubblicava “La vita quotidiana come rappresentazione”. Sono passati 60 anni ed è ancora attuale il concetto per cui ogni persona mette in scena le proprie maschere, decide cosa far percepire all’altro, attraverso meccanismi di adesione e controllo, sceglie cosa rendere visibile e cosa meno, a seconda di chi sia il suo pubblico. Oggi il web è il nuovo palcoscenico online, Patricia Wallace, professoressa di psicologia delle relazioni e dell’apprendimento al Maryland University College, parla di “Psicologia di internet”. I social diventano quello spazio dove è possibile costruire o mantenere una versione potenziata di noi stessi. Attraverso il controllo dell’immagine e dei contenuti che vengono pubblicati, è possibile valorizzare caratteristiche che riteniamo positive a discapito di quelle negative.
Ciò che è positivo o negativo lo affidiamo alle nostre credenze, alle nostre fantasie e alla cultura in cui siamo immersi.
Il web ci offre la possibilità di mettere in scena chi si è, chi non si è, chi non si può essere e chi si vorrebbe essere.
La social community è il nuovo sistema di convivenza che trasforma l’equilibrio tra il vero e falso: condividiamo che sia possibile fare finta che il falso sia vero.
Assistiamo a messe in scena delle nostre emozioni e dei nostri stati d’animo attraverso drammatizzazioni che sembrano a schemi prestabiliti, veri copioni che si ripetono, esibendo piuttosto che elaborando cosa stiamo provando.
L’obiettivo è acquisire notorietà, farsi vedere, piacere, sentirsi desiderati. Non conta la relazione con l’altro, conta quanto l’altro mi faccia sentire interessante. È chiaro che stiamo spostando all’esterno la costruzione della nostra identità, la consapevoleza di noi stessi e delle nostre risorse. Siamo dipendenti dall’acclamazione dell’altro per sedare la nostra insicurezza.
In questo vortice di esibizione e ricerca di compiacimento si rischia anche di incappare in situazioni pericolose. Penso a giovani ragazzine adescate sui social da persone con intenti non nobili, che prima iniziano a fare complimenti e poi a regalare soldi con le ricariche del cellulare in cambio di qualche foto osè; oppure uomini che si propongono di accompagnarle a fare shopping purché possano guardarle mentre si provano i vestiti.
Per fortuna si sta facendo cultura su questo, ma sono ancora molti i casi di riuscite manipolazioni.
Facebook era nato con l’intento di favorire lo scambio e la creazione di reti sociali che già esistevano nella realtà, come mettere in rete gli studenti dell’Università di Harvard. Oggi è diventato, lui come altri social, un grande palcoscenico, che rischia di permette a chi lo usa, di poter plasmare, modificare, rinnovare la propria identità o scegliere cosa rappresentare.
Come già accennato le dimensioni sociali e psicologiche del web e dei social entrano negli studi di psicoterapia ormai quotidianamente. Cellulari, spunte blu, profili bloccati, like e stories di Instagram, sono parte integrante degli scambi con i pazienti.
In che modo questo scenario organizza le domande di psicoterapia?
Penso all’incontro con una donna che non usciva di casa perchè non riusciva a costruire relazioni gratificanti nella realtà.
Si era ingabbiata nella sua stessa casa per paura di uscire e vedere cosa fosse fuori, o vedere cosa fosse dentro.
Nel cyberspazio, però, la sua vita riusciva a colorarsi, era intrisa di relazioni, faceva esperienza di riuscita e soddisfazioni personali.
Il mondo del web è un mondo spesso abitato da invisibili, è un modo di chi non c’è ma c’è, dove ci si incontra, ci si diverte, si litiga, ci si innamora, si fa amicizia. Tutto, spesso e volentieri, senza vedersi e/o toccarsi. Un mondo in cui si fa esperienza dell’altro attraverso una foto, una chat e una voce.
L’obiettivo della psicoterapia è quello di integrare e riconoscersi nello scambio con un altro reale.
Può accadere che una persona rifugi una parte di se stessa dentro una chat, un social e/o un gioco online.
Sono casi in cui l’utilizzo di un dispositivo viene privilegiato alla relazione con un altro reale, con un esporsi in carne e ossa, con un avere il coraggio di dichiarare la propria identità.
Vengono alla mente le chat per incontri in cui basta spuntare la casellina del proprio orientamento sessuale, e il gioco è fatto, nascono tanti incontri e tante conversazioni che altrimenti non esisterebbero. Relazioni che poi spesso si verificano non produttive, fallimentari. Perchè? Si fa come se si potesse fare a prescindere. L’orientamento sessuale diventa l’unico organizzatore. Si perde la condivisione di un oggetto terzo, quel qualcosa che si trova tra me e l’altro, che ci fa provare interesse verso la scoperta di quel rapporto.
Quando scegliamo di non vivere la realtà, di occuparcene consapevolmente, di fare i conti con i limiti e di riconoscerne le risorse, stiamo vivendo nella fantasia. La fantasia in psicoanalisi è pensata come terra di conquista, di desideri grandiosi e altisonanti, che non trovano mai riscontro nella vita vera.
Vortici infiniti di attese e fallimenti. É il continuo gioco emotivo se si vive tra impotenza e l’onnipotenza.
Sembrerebbe che la fantasia che regna nel web, a cui aderiamo e di cui a volte ci sentiamo schiavi, è quella che si debba aderire in maniera cieca a certi schemi che ci fanno sentire quello che non siamo, ci fanno sentire veri quando siamo falsi. Il rischio molto forte è lasciarsi condurre in questa confusione, credere che rappresentare voglia dire essere. Da come tu mi vuoi a come io mi voglio. Mi voglio perfetto e popolare.
Come psicoterapeuta mi confronto quotidianamente con tutto questo. La psicoanalisi, nel suo interesse a facilitare l’adattamento ai propri contesti di vita può lavorare su quanto stiamo dicendo. In che modo? Facendo comprendere che questa ricerca dell’apice è effimera e destinata al fallimento, accompagnando a destrutturare le proprie fantasie onnipotenti e lavorando su quello che si è, imparando a valorizzare le imperfezioni e accettare i nostri limiti. Questo processo è il prodotto della psicoanalisi. Riconoscere che limiti e imperfezioni fanno di noi persone capaci di desiderare e realizzarsi.

Francesca Roberti
Psicologa Clinica e Psicoterapeuta
ad orientamento Psicoanalitico