Si va in psicoterapia perchè si ha un problema, si vive un momento di difficoltà, una perdita o un fallimento.
Rivolgersi ad un terapeuta può assumere la forma della richiesta d’aiuto, talvolta di cura: “Come può il terapueta rispondere a questa richiesta d’aiuto?”.
La domanda dei pazienti è “aiutami a risolvere il mio problema”; “guariscimi dagli attacchi di panico”; “dimmi come posso fare per uscire da questa situazione”; “aiutami a farlo tornare come prima”, “aiutami a non farlo morire”....
In questi casi, a meno che il terapueta non accetti la parte del guaritore alchemico, o inizi a proporre ricettacoli da seguire, al più facendo la parte di chi può dare i giusti consigli, inizia un lavoro interessante che ha come obiettivo quello di aiutare la persona a capire quali emozioni vive in rapporto al contesto che lo circonda e alle relazioni ad esso connesse.
Insieme al terapeuta, apprende a farsi carico di quello che vive scoprendone il significato, a dare spazio al riconoscimento del proprio modo inconscio di essere della mente (Matte Blanco) e ad investire sulla propria parte desiderante.
La psicoterapia lavora sulla competenza a desiderare.
Desiderare come capacità di confrontarsi con i propri limiti, smontare le fantasie di onnipotenza o impotenza e iniziare a prendersi cura del proprio spazio nel mondo, riconoscere le proprie risorse e iniziare a farne esperienza nella vita.
La psicoterapia, vista in questi termini, è un laboratorio di creatività inteso come luogo di facilitazione di un movimento generativo: vivere le emozioni, pensarle, occuparsene. È lo spazio fisico e simbolico entro il quale portare i propri conflitti interni senza farsene distruggere, luogo sicuro dove apprendere a desiderare e a sviluppare le proprie potenzialità.
Guarire dal problema, eliminare il sintomo, diagnosticare la parte malata e curarla, sono le più frequenti motivazioni che portano una persona a rivolgersi ad uno psicoterapeuta.
A partire dal concetto di creatività in psicoanalisi, mi interessa coinvolgere il lettore a comprendere quale funzione abbia per noi la psicoterapia a orientamento psicoanalitico e di come trattiamo le questioni che le persone ci portano nei nostri studi.
Trattare psicoanaliticamente un problema vuol dire prendersene cura, occuparsene, comprenderlo, pensarlo emozionalmente e a partire da questo movimento creativo e di consapevolezza, restituirne un proprio modo di funzionare coerente con la propria parte desiderante, quella parte capace di confrontarsi e di compromettersi (#EditorialeQualeCreatività).
Con il lavoro analitico facilitiamo la comprensione del problema che ci viene portato.
E’ interessante e al tempo stesso gratificante, arrivare insieme al paziente a scoprire quanto la possibilità di esplorare una questione rappresenti l’inizio del lavoro di analisi, magari inatteso. Tutto questo lo spinge a ripensare se stesso, i propri modelli, le proprie fantasie, il motivo per cui si ritrova in analisi, e infine ad individuarne un’occasione di sviluppo, tanto da rinnovarla nel tempo.
Scucire, ricucire, tessere sono alcuni degli obiettivi più importanti di un lavoro psicoanalitico.
Trovo che riuscire a promuovere questi obiettivi sia il processo più stimolante del mio lavoro; rappresenta la condizione necessaria attraverso la quale è possibile investire affettivamente nella relazione tra terapeuta e paziente. Uso le parole investire affettivamente perché credo che lavorare analiticamente con qualcuno voglia dire anche volergli bene, tenerlo a mente, camminare insieme.
Concludo ripensando alla metafora del laboratorio come rappresentativa del lavoro psicoterapeutico. Il laboratorio è il luogo del ricercare, osservare, sperimentare e dell’apprendere. Sono queste le premessa del modo con cui penso il mio lavoro.

Francesca Roberti
Psicologa Clinica e Psicoterapeuta
ad orientamento Psicoanalitico